Giovanni CABASSI
Probabilmente, a pochi importa che Giovanni Cabassi ha sessantuno anni, una moglie da trentaquattro, tre figli e tre nipoti, una gatta strana che si chiama Tinapica, o che è nato a Milano da genitori milanesi, che ha lavorato e vissuto a Milano tutta la vita, che passa diverso tempo in Salento, dove affondano alcune delle sue radici di passate generazioni.
Il mezzo fotografico lo ha stregato fin da bambino, fulminato -a dieci anni- da una Leica M3 e una Rolleiflex 2,8F trovate intonse nell’armadio di suo padre, regali di nozze che non avevano mai visto un rullino. Fino ad allora.
Giovanni Cabassi ha adorato la fotografia come mezzo espressivo fin dalle prime mostre della Galleria Il Diaframma, di Lanfranco Colombo, in via Brera, a Milano.
Era quello che sentiva che sarebbe stata la sua vita, anche se non sapeva -allora- come affrontare una famiglia che di certo non favoriva una scelta considerata quantomeno “bizzarra”.
Ci ha impiegato una decina di anni, ma ci è riuscito: la Leica -finalmente- poteva uscire allo scoperto e, a ventotto anni, ha aperto il suo primo studio.
Lo ha entusiasmato di questo lavoro sia il lato commerciale sia quello artistico; a volte, gli è stato permesso di coniugare le due componenti, ma non è successo spesso. Ma quando è capitato è stato bellissimo ed estremamente coinvolgente.
Sì, ha allestito parecchie mostre, sia personali sia collettive, e realizzato diverse monografie; e, poi, ha svolto incontri e tenuto workshop e qualche lezione, tutto molto soddisfacente, ma mai come il lavoro prossimo venturo che l’ha tutto qui in mente e deve solo tradurlo in pellicola e stamparlo in baritata.
Non ha pregiudizi e non ha una visione talebana sugli apparecchi fotografici.
Usa sia la Deardorff 8×10 pollici (20,4×25,4cm: che ha la sua età esatta, decifrata dal numero di matricola), sia le Hasselblad con il dorso digitale. Più tutto quello che sta nel mezzo e che continua ad affascinarlo come da bambino.