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Tony Gentile a Triggiano (BA)

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Ultimi giorni per poter visitare, la mostra personale “Tony Gentile.
“Memoria senza indulgenza”, a cura di Manuela De Leonardis, allestita nelle vie del centro storico del Comune di Triggiano (Bari).
L’evento, inserito nel programma della manifestazione “Capaci di Legalità” ha ricevuto, tra gli altri, il patrocinio dell’ANSI, l’Associazione Nazionale Sottufficiali d’Italia.
La mostra fotografica diffusa, avrà luogo dal 6 al 31 maggio 2022, in occasione del 30esimo anniversario delle stragi di Capaci (23 maggio 1992) e di Via D’Amelio (19 luglio 1992) in cui furono trucidati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo (cittadino triggianese), Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Una delle fotografie simbolo è quella in bianco e nero che Tony Gentile scattò durante un convegno a Palermo, il 27 marzo 1992, e che ritrae i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, amici e colleghi, sorridenti e complici che si avvicinano tra loro per sussurrarsi qualcosa e poi scoppiare a ridere.
“Questa e altre fotografie scattate da Tony Gentile sono pietre miliari della lotta alla mafia – commenta Gaetano Ruocco, presidente nazionale dell’ANSI – perché la criminalità mafiosa si sconfigge con l’azione delle forze dell’ordine, la partecipazione della popolazione, l’impegno delle istituzioni, la cultura diffusa tra i giovani, ma anche con la potenza delle immagini di questa mostra che abbiamo deciso di patrocinare.”
Il potere della fotografia, complimenti agli organizzatori, oltre al caro Gentile, il Sindaco con un Amministrazione, sensibile e attiva culturalmente.
Esempio da replicare.

WORD PRESS PHOTO 2021

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Il Matera Iternational Photography nelle persone del Presidente Carla Cantore e dell'Artdirector Antonello Di Gennaro anche questo anno sono stati presenti all'apputamento annuale con ilWorld Press Photo 2021, il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, il quale è giunto alla 64esima edizione (viene organizzato dall’omonima fondazione olandese dal 1955).
Due i premi più importanti: il «World Press Photo of the year» (che premia una singola foto) e il «World press photo Story of the year», che riconosce una storia e non una sola immagine, annunciati quest’anno online a causa delle restrizioni legate alla pandemia.
A vincere il primo premio, per la migliore foto dell’anno, il danese Mads Nissen, con uno scatto realizzato a São Paulo, che mostra una paziente malata di Covid-19 ricevere il primo abbraccio in cinque mesi, attraverso una «tenda dell’abbraccio» (la fotografia era candidata nella categoria «General news»).
Primo premio nella categoria «Long-Term Projects» per l’italiano Antonio Faccilongo, con il progetto «Habibi»: la cronaca di una storia d’amore ambientata in uno dei conflitti contemporanei più lunghi e complicati, quello della guerra israelo-palestinese. Questo progetto, le cui immagini sono state realizzate tra il 2015 e il 2019, mostra le conseguenze della crisi palestinese sulle famiglie attraverso la storia delle mogli dei prigionieri che hanno fatto ricorso al contrabbando di sperma per concepire figli attraverso la fecondazione in vitro (FIV), in quanto i loro mariti stanno scontando pene a lungo termine nelle carceri israeliane.
L'organizzazione e l'allestimento della mostra è stata ben curata, ogni fotografia, ogni reportage racconta un pezzo di storia unica e interessante che induce a riflettere.
Quest’anno i fotografi partecipanti sono stati 4.135 provenienti da 130 Paesi diversi. Le immagini sottoposte al giudizio della giuria sono state oltre 74mila (tutte le fotografie e storie vincitrici su https://www.worldpressphoto.org/contests/2021).


Ufficio Stampa
MIP

LE ULTIME DONNE TATUATE DEL MYANMAR

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MOSTRA FOTOGRAFICA a cura di Antonello Di Gennaro Art director Matera International Photography.

Il 17 ottobre 2021 alle ore 17:00 l’Associazione Matera International Photography presenta la mostra fotografica “LE ULTIME DONNE TATUATE DEL MYANMAR” della fotografa Luciana TRAPPOLINO a cura del Art Director Antonello Di Gennaro presso la storica sede della Arti Visive Gallery.

Luciana Trappolino, in questo suo reportage non predatorio fatto essenzialmente di ritratti, il cui termine più appropriato sarebbe reportrait, racconta, portando l’osservatore a contatto con la storia e i contesti più ampi di cui fanno parte, le donne "Chin" il cui senso della bellezza è piuttosto particolare: il loro viso è decorato con tatuaggi per i quali sono state anche disposte a sopportare sofferenze. Di queste donne ne sono rimaste nel mondo una trentina o giù di lì e oggi la maggior parte di loro ha sessanta, settanta anni. La leggenda narra che quando un re birmano viaggiò nella regione, fu così impressionato dalla bellezza delle donne che ne rapì una per prenderla in sposa: le famiglie Chin avrebbero così iniziato a tatuare le figlie per assicurarsi che non venissero rapite. Altre testimonianze dicono che il tatuaggio sia stato fatto per rendere le donne più belle o, cosa più plausibile, per differenziare le diverse tribù.
I tatuaggi sono realizzati utilizzando spine, sangue di bue, estratti di piante e grasso animale: il processo, estremamente doloroso, specialmente nella parte intorno agli occhi, può richiedere fino a due giorni per essere completato.
La tradizione poi ha iniziato a vivere di vita propria, fino agli anni ’60, quando il governo la bandì giudicandola barbarica. Ancora oggi permane come una pratica importante per la popolazione Chin, anche se sono principalmente le donne anziane a custodire i tradizionali segni sul volto.

Nella serata inaugurale saranno presenti: l’autrice Luciana Trappolino, il presidente Carla Cantore e il direttore artistico Antonello Di Gennaro del MIP – Matera International Photography, prof.ssa di estetica – Università degli Studi di Bari – Pres. Sfi – Sez. Lucana Maristella Trombetta, il presidente CNA Basilicata Leo Montemurro, il rappresentate del Comune di Matera, Mino Di Pede, Grazia Di Pede e Franco Di Pede della Arti Visive Gallery.

In collaborazione con il CNA Comunicazione e terziario avanzato – Sez. Fotografia, partner dell’evento Arti Visive Gallery.


A cura
Ufficio Stampa MIP




MOSTRA: LE ULTIME DONNE TATUATE DEL MYANMAR

Autore: Luciana TRAPPOLINO
Prodotta da: Matera International Photography
Direzione artistica: Antonello Di Gennaro
Luogo: Arti Visive Gallery - Via delle Beccherie, 41 – 75100 Matera
Inaugurazione: 17 OTTOBRE 2021 ore 17.00
Apertura al pubblico: Dal 17 ottobre al 7 novembre 2021
Orari: 10:30 /12:30 – 17:30 / 20:30 chiuso il lunedì
Info mostra: Antonio +39 393 6500 200
www.materainternationalphotography.com
Ingresso: Libero
Visite guidate per gruppi e scuole su prentazione
Modalità anti Covid-19: Ingresso con Green Pass
In collaborazione: CNA, Arti Visive Gallery.
Responsabile della Comunicazione: Antonello Di Gennaro


JAMES BOND TRA I SASSI

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Il 27 settembre 2021 si inaugura a Matera alle ore 19:00 in via delle Beccherie, 41 Matera,
presso la Arti Visive Gallery la mostra fotografica “James Bond tra i Sassi” del fotografo e redattore free lance Roberto Montanari.
L’evento è promosso, sostenuto e organizzato dal MIP Matera International Photography e
dal CNA Comunicazione e terziario avanzato – Sez Fotografia.

Il Progetto fotografico è stato realizzato durante le lavorazioni del film ‘No Time To Die’, negli antichi rioni Sassi di Matera nel 2019. Il film sarà presentato al pubblico in occasione della prima mondiale a Londra e la prima nazionale a Matera.

Un importante evento che si aggiunge alla lunga lista di produzioni cinematografiche a livello
internazionale nella città di Matera.
L’esposizione sarà accompagnata da una slide show, per raccontare con gli occhi del reporter:la tecnologia, la professionalità del cast e dei tecnici, la solidità della produzione impreziosite dallo sfondo unico degli antichi rioni Sassi di Matera.
Le fotografie realizzate nello stile del reportage, dal fotografo osservatore non inviato, si propongono di fissare nella memoria collettiva il passaggio del ruolo dei Sassi di Matera, da protagonisti dei film storico religiosi, già cambiato con la realizzazione di un'altra produzione e di due fiction, a protagonisti del moderno cinema d’azione e, di sottolineare il ruolo mai tramontato della fotografia di reportage come testimonianza di momenti storici.

Nella serata inaugurale saranno presenti: l’autore Roberto Montanari, il Direttore artistico del
MIP Antonello Di Gennaro e la Presidente Carla Cantore, il presidente CNA Basilicata Leo Montemurro, Mino Di Pede e Franco Di Pede della Arti Visive Gallery. Il progetto è stato reso possibile grazie alle aziende
private sensibili allo sviluppo culturale del nostro meraviglioso territorio.

Ufficio Stampa MIP
www.materainternationalphotography.com


Ingresso libero con green pass
tutti i giorni - orari 17,30 / 20,30

Frammenti di vita

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Un centesimo di secondo qui,
un centesimo di secondo là…
anche se li metti tutti in fila,
rimangono solo un secondo, due,
forse tre secondi…
strappati all’eternità.

Robert Doisneau



Questo XX secolo, chiamato “secolo breve” da Eric Hobsbawm, potrebbe essere definito come il secolo dell’immagine, dell’immagine del tipo fotografico. Prima la fotografia, poi il cinema e dopo la televisione. Ad ogni grande evento, ad ogni grande personaggio corrisponde una immagine che lo testimonia e ne diventa l’icona nella mente degli esseri umani che sono cresciuti nel ventesimo secolo. Basta pensare a qualche avvenimento o a qualche persona e troveremo con facilità una immagine fotografica che lo rappresenta.
La fotografia è penetrata in maniera forte nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nel nostro rapporto con il mondo e con la memoria.
C’è la credenza che la fotografia non è un equivalente, un “segno” di quello che ritrae, ma è la cosa stessa che rappresenta! Ci si dimentica che essa è una costruzione simbolica non la testimonianza oggettiva del mondo. In quanto sappiamo bene che non esiste un’unica realtà ma più realtà, a seconda dei punti di vista. Il fotografo nel momento in cui scatta delle fotografie compie delle scelte: di essere più vicino o lontano dal soggetto, di utilizzare un certo obiettivo, un iso o una certa luce, ma soprattutto ha la possibilità di togliere l’elemento principale della realtà il colore, anche se esso non viene visto nello stesso modo da tutti, il colore è arbitrario, e cambia anche esso a seconda della luce, però nonostante questo l’osservatore guardando una immagine continua a dire di vedere “un ragazzo con i jeans blu e la maglietta rossa”, questo porta la fotografia ad essere una rappresentazione soggettiva della realtà.

“Una fotografia evoca la presenza tangibile della realtà in modo più convincente di qualsiasi altro genere di immagine” John Szarkowski [1]

Le fotografie hanno però un qualcosa di magico, possono sembrare dei semplici pezzi di carta dove è impressa matericamente in maniera bidimensionale la visione del fotografo, invece se sono considerate in maniera attenta portano l’osservatore a trovarsi in quel luogo e in quell’istante, ovvero essa contiene emozioni, storie e ricordi che possono essere colte solo se vengono puliti gli strati superficiali che compongono l’immagine e la si analizza in maniera più profonda. La fotografia ha però anche un'altra prerogativa, oltre a darci un frammento di una immagine del mondo, è anche una istantanea di un istante, ne costituisce una fetta di spazio-tempo. Abbiamo l’illusione con la fotografia di fermare il tempo e così per noi essa preserva quell’istante. Le fotografie, rappresentano il nostro “pensiero visivo” che ha la caratteristica di far cogliere nella simultaneità tutto ciò che la parola ha bisogno di distribuire nella durata. Le fotografie descrivono solo il presente, rappresentato nel “momento decisivo” come lo definiva Cartier-Bresson perché in quel momento tutto è giunto ad un equilibrio, a una nitidezza ad un ordine: che porta a scattare e a trasformare in un istante l’immagine in fotografia.

“Noi fotografi abbiamo a che fare con oggetti che vanno sparendo di continuo e, quando sono del tutto spariti, nessuno strumento terreno potrà mai farli ricomparire. Non possiamo che sviluppare e stampare un ricordo” Henri Cartier-Bresson [2]


Carla Cantore Fotografa | Arteterapeuta

Bibliografia
[1] John Szarkowski (2007) p. 11 L’occhio fotografico. © 5 Continents Editions, Milano
[2] ibidem pag. 112



Dalla fotografia singola al fotoracconto.

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La fotografia dal 1839 anno convenzione della sua nascita, in cui veniva denominata dagherrotipia dal nome del suo inventore Louise Jacque Mondè Daguerre, ha avuto un forte impatto sulla società e diverse sono state le reazioni rispetto alla sua creazione.
Dal punto di vista tecnico l’immagine nel XIX secolo, veniva generata tramite la camera oscura, veniva fissata chimicamente su un supporto di vetro o di carta, non era a colori, ed era sorprendentemente somigliante al soggetto ripreso, paesaggio o essere umano.
Per la prima volta l’uomo poteva concepire e conservare immagini senza doverle produrle manualmente, ma con l’ausilio di uno strumento: la macchina fotografica.
Le reazioni furono contrastanti rispetto a questa nuova scoperta. Alcuni ne divennero ammiratori tra cui Emile Zolà, per il valore che aveva la fotografia di ritratto preciso e imparziale della realtà; altri, invece, la criticarono aspramente tra questi Charles Baudelaire, nel suo “Il Pubblico Moderno e la Fotografia” del 1859.
Baudelaire sebbene la disprezzasse si fece ritrarre da Daguerre e Nadar, considerati i maggiori fotografi della sua epoca. Egli quindi rimase affascinato dalla immediata capacità della fotografia di bloccare il tempo e di lasciare un’immutabile traccia di se stessi nel futuro, desiderio di ogni artista.

La fotografia fin dalla sua nascita ha aperto diversi dibattiti: sulle sue qualità artistiche (la fotografia e arte?), sulle sue caratteristiche (di documento e testimonianza attendibile della realtà) e della sua influenza sulla società e sul suo rapporto con la realtà e così via.
A causa dei costi delle attrezzature e della stampa, inizialmente era un privilegio solo delle classi agiate, con l’avvento del digitale, quasi tutti hanno scattato una fotografia o comunque ne hanno conservate qualcuna, per cui la fotografia è diventata di uso popolare, familiare e di grande impatto sociale.

Inizialmente proprio grazie alla possibilità che veniva offerta dalla fotografia di raccogliere informazioni, venne utilizzata come mezzo di documentazione, e da qui, nacque il fotogiornalismo che veniva impiegato soprattutto per far conoscere la crudeltà della guerra.

“Molte riviste si cimentavano con moderne impaginazioni in cui le fotografie creavano un vero e proprio racconto che, opportunamente titolato e disalcalizzato, poteva vivere di vita autonoma, indipendentemente dal testo dell'articolo. Nasceva insomma il fotogiornalismo nella sua accezione moderna che negli anni tra il primo dopoguerra e quelli della guerra fredda degli anni cinquanta avrebbe vissuto la sua stagione d'oro: poi l'avvento dell'informazione televisiva ne avrebbe decretato il lento declino anche se le sue numerose trasformazioni ne avrebbero consentito la sopravvivenza fino ai nostri giorni”
[1]

Negli anni compresi tra le due guerre mondiali, non ci furono fotogiornalisti di spicco. Molto significativa fu l’esperienza, però, della rivista “Illustrazione Italiana” che diede grande risalto all’ immagine fotografica e introdusse il fotoracconto.
Negli Stati Uniti, invece, nasceva la rivista, Life, la quale grazie alla sua notevole disponibilità economica, poteva disporre dei fotografi migliori a cui veniva affidato il compito di percorre il mondo intero per documentare gli aspetti naturalisti e umani, i moti e le situazioni sociali.
Questo permise alla rivista Life di avere una grande forza nella documentazione fotografica rivolta ad un pubblico più vasto non solo americano.

I fotografi grazie alla possibilità di utilizzare macchine fotografiche di piccolo formato, e ai nuovi mezzi di trasporto sempre più veloci, che consentivano di essere presenti in ogni parte del mondo, ebbero la possibilità di diventare autori di servizi fotografici “i fotoracconti” i quali erano in grado di rispondere alle necessità del pubblico che mostrava interesse e voleva approfondire le informazioni visive del mondo. Così si ribaltò la situazione nel rapporto foto/testo, i fotoracconti erano autosufficienti e i testi diventarono didascalie a corredo delle immagini, non era più il testo a dominare le fotografie ma esso andava solo ad arricchire le immagini.

La fotografia viene quindi utilizzata come strumento di documentazione, di fatti storici, sociali, e la figura del fotografo assume un ruolo importante, diventa considerevole il suo punto di vista, cosa lui sceglie di osservare e fotografare, e cosa e chi sceglie di “immortalare”.

Tutto ciò è influenzato dalle dinamiche interne del fotografo, da un continuo dialogo dinamico “dentro-fuori” di sé, che porterà a realizzare e a contraddistinguere le sue immagini.
Mario Calabresi, giornalista e direttore della Repubblica scrive a tal proposito che “W. Eugene Smitih, uno dei padri del fotogiornalismo moderno, sposava fino all’estremo i temi dei suoi reportage, con una ossessione per il rigore e per l’estetica. Rifuggiva L’idea dell’immagine singola, della foto solitaria, per lui tutto aveva senso solo all’interno di un’indagine, di una storia”
[2]

Nel suo testo “Camera chiara” Barthes (1980) parla di studium e punctum in riferimento alla foto. Attraverso lo studium, il lettore entra in una relazione seria, educata, razionale col fotografo, discute con lui, ascolta le sue ragioni, si fa un'opinione. Lo studium educa.
La cosa che cerchiamo in una foto, che spiega la foto, per Barthes è lo studium. Che è il significato generale, premeditato e predisposto, potremmo dire il messaggio intenzionale che una fotografia vuole trasmetterci. Che il punctum non si cerca: ti viene a cercare. Che non si spiega: è lui che spiega noi. E’ quel dettaglio che disorienta l’osservare, senza che egli possa dare una spiegazione, un motivazione; aprendo di fronte ai suoi occhi “uno spazio illimitato di emozioni, di interrogativi e di rimandi ad esperienze già vissute.”
[3]

© Carla Cantore

Bibliografia:
[1] Pio Taranti (2011) FOTOGRAFIA Elementi fondamentali di linguaggio, storia, stile.
[2] Mario Calabresi p.170 (2013) A occhi aperti. Contrasto S.r.l. Roma
[3] Claudio Marra p. 86 (1990) Scene da camera. Edizioni Essegi, Ravenna.

La rappresentazione dei fotografi di emigranti e immigrati

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Si può facilmente constatare come la società contemporanea stia dando una priorità sempre più rilevante alle immagini, anziché alla scrittura, quale mezzo di comunicazione diretta. Abbondano le fotografie di visi, di corpi, dei beni più diversi e dei luoghi più remoti, sempre a portata dei nostri occhi: sui giornali, nelle riviste, alla televisione, sui cartelloni pubblicitari e, in tempi più recenti, sui social network. Tuttavia, nel considerare le fotografie come messaggi che arrivano fino ai nostri giorni, allo storico spetta il compito di svelare la trama dei segni che li compongono. Questo significa diffidare della «naturalità» apparente dell’informazione trasmessa.

E ancora, nell’interpretare il «significato» delle immagini, appare necessario comprendere che esse sono parti costitutive di un messaggio molto complesso, fatto anche di parole. Per tali motivi ritengo preziose e strumentali le questioni trattate dalla storica Paola Corti nel suo lavoro Emigranti e immigrati nelle rappresentazioni di fotografi e fotogiornalisti, che consente ai lettori di cogliere nelle fotografie sulle migrazioni italiane l’istante nel quale il futuro si è annidato nel passato.

In questo futuro ci sono i flussi migratori manifestatisi tra la fine dell’Ottocento –momento nel quale milioni di italiani partirono – e gli ultimi due decenni quando l’Italia è passata ad accogliere gli immigrati. Se, da un lato, si constata che la direzione degli spostamenti ha invertito il proprio senso; dall’altro, si osserva un mutamento nella percezione dei suddetti processi migratori da parte della società italiana, un cambiamento nel quale i mezzi di comunicazione hanno giocato un ruolo chiave nell’anticipare e nel diffondere l’immaginario visivo sulle migrazioni. Per comprendere tale congiuntura, l’autrice ha analizzato un insieme di fotografie dell’esodo italiano successivo alla Seconda guerra mondiale, scattate da fotoreporter italiani, in relazione alle immagini prodotte durante la prima grande emigrazione italiana verso gli Stati Uniti.

In seguito, queste immagini sono state messe a confronto con quelle che ritraggono la recente immigrazione straniera in Italia, fatte dagli autori freelance e pubblicate in periodici e cataloghi fotografici su questa tema. Dall’analisi delle immagini fatte dai fotogiornalisti italiani nel secondo dopoguerra, si scopre che sono stati immortalati sostanzialmente quegli istanti del passato nei quali gli individui transitavano per le stazioni dei treni e per i posti di frontiera, ossia, le località di partenza e di passaggio. Non manca neppure la documentazione visiva delle località di arrivo, e in queste, immortalate dalle fotografie, ci sono le condizioni di privazioni nelle quali vivevano gli immigrati italiani nei nuovi paesi di accoglienza, così come le precarie abitazioni familiari, gli alloggi dei lavoratori e le degradanti condizioni di lavoro dei minatori nei paesi europei, come il Belgio e la Svizzera.

Ora, un’importante rivelazione si riferisce al fatto che tali costruzioni visive erano in armonia con la rappresentazione dell’emigrazione nella cinematografia italiana dell’epoca. Così, il cinema si immerse nel clima di crisi economica, politica e sociale dell’Italia del secondo dopoguerra e poi si erse a critico di questa realtà con veri capolavori che narravano la dura vita quotidiana degli italiani in altri paesi e in altri mondi. In questo senso, accanto alla critica, il cinema descrive minuziosamente il tragitto che milioni di italiani percorsero: rappresenta i luoghi di partenza e di arrivo, confronta modi, gesti e comportamenti, allo stesso tempo in cui narra l’ambiguità di cosa significhi «essere italiano» all’estero.

Infine, è l’esame delle fotografie relative all’immigrazione straniera contemporanea nell’Italia che ritengo cruciale e prezioso per confermare il ruolo dei mezzi di comunicazione nella costruzione e nella divulgazione di una certa percezione dei fenomeni migratori. Tale percezione, in un primo momento, si mostrò benevola, pietosa e solidale per quanto riguardava il diritto di ogni individuo a continuare la propria vita in un qualsiasi luogo del mondo in cui si senta realizzato.

Però, in un secondo momento, l’immagine che è prevalsa nella produzione fotogiornalistica recente, si è distinta nel registrare e nel divulgare fino allo sfinimento il viaggio e l’arrivo degli immigrati sul territorio italiano, a centinaia e a migliaia. Di conseguenza, il presente si è tinto con i colori della paura di una «invasione» e ha virato verso l’intolleranza. E il futuro? Il futuro, afferma Paola Corti, può stare negli occhi e negli obiettivi degli autori freelance, forse nell’indipendenza, ma certamente nell’originalità delle loro fotografie; alla stessa maniera può essere affidato alle narrative dei cataloghi che trattano della tematica dell’immigrazione. Ma, soprattutto, sta nell’interazione imprescindibile tra i tre testi: quello visivo, quello orale e quello scritto; ossia nei nuovi messaggi elaborati con immagini e parole.

Antonello Di Gennaro - Direttore artistico

Lo Stato Sociale della Fotografia

Insieme per una nuova cultura della fotografia

LO STATO SOCIALE DELLA FOTOGRAFIA costituisce l’avamposto deputato a stimolare un significativo dibattito pubblico intorno al tema della fotografia e dell’immagine. Specialmente in quest’epoca dominata dalla ‘fotografia digitale’ che pare esibirsi sui social network profondamente modificata, talvolta perfino alterata. Vigoreggia, invece, proprio la voglia di promuovere il valore della fotografia. La fotografia è a pieno titolo una forma artistica, un prodotto culturale che riflette la sua epoca e contiene un messaggio estetico, educativo e sociale. La fotografia è un’arte che richiede tempo, studio, pratica e dedizione.
La fotografia, in verità, è componente essenziale della nostra vita appunto perché comunica sensazioni fantastiche, produce emozioni straordinarie, diviene ‘memoria storica’, incancellabile. Evidenzia un potere di coesione costruendo un solido ponte sociale tra i protagonisti che utilizzano una forma di linguaggio semplice e complesso, al tempo stesso.
Le relazioni umane, che sono alla base del vivere civile, consolidano la consapevolezza del valore dell’unità di intenti, considerando, tuttavia, il contesto attuale contrassegnato da contrasti laceranti.
Ostacolando la condivisione rischiamo di trovarci ad osservare un panorama allucinante, disegnato da tante isole sparse qua e là senza ponti di collegamento tra loro. È un po’ come osservare terre deserte e aride, senza vita. La realtà, al contrario, è che nessun uomo può essere isola!
Non potremo, di conseguenza, essere autosufficienti né divenire autoreferenziali. Siamo parte del tutto! La sfida, allora, che è davanti a noi è quella di cercarsi, di trovarsi ed unirsi per resistere. Nati ‘per seguir virtute e canoscenza’ attraverso la fotografia rafforzeremo la nostra capacità comunicativa valorizzando anche la dimensione pedagogica.
“RESTITUIAMO ALLA FOTOGRAFIA LA SUA FUNZIONE SOCIALEE LEI SARÀ IN GRADO DI RISPECCHIARE QUELLO CHE A VOLTE ORMAI NON VEDIAMO PIÙ:LA NOSTRA UMANITÀ, LA PREZIOSITÀ DEI NOSTRI AFFETTI E LA DELICATEZZA DI TANTI SGUARDI, PROSPETTIVE E DETTAGLI”
Pensiamo che sia importante evidenziare i problemi e radunarci in questo spazio a discuterne per elaborare un piano di intervento. Viviamo in un’era digitale in cui dobbiamo abituarci alla convivenza di diversi livelli di fruizione dell’immagine e soprattutto dobbiamo imparare a trattare le immagini con l’attenzione che meritano.
Tutto questo, ed altro, lo facciamo con amore e professionalità seguendo linee etiche e portatrici di valori estetici che si sviluppano nel mondo sociale, nei territori, nelle varie culture e opinioni. Riteniamo che, una possibile valorizzazione e divulgazione della cultura in ambito fotografico, passi non solo dalla stessa fotografia, ma anche da altre forme d’arte e comunicazione, come il giornalismo, la musica, il cinema, la poesia, la scultura, la pittura, la letteratura, la psicoterapia, la moda, il design, la solidarietà e non solo.
Discipline che si intersecano lungo una linea di orizzonte comune. Infatti questa, la nostra vera essenza filosofica, è la direzione di marcia utile per interpretare, in maniera polisemantica, le nuove esigenze ed applicare nuovi paradigmi in uno scenario in continua evoluzione e mutazione. Sviluppare rapporti efficaci ed originali con gli operatori del settore della comunicazione e dell’arte, per contribuire alla realizzazione e gestione integrata della funzione della fotografia.
TUTTO CIÒ È CULTURA DI RICERCA.
“La filosofia di persone che si nutrono di fotografia e che vogliono essere protagoniste dello sviluppo del cambiamento”

Pamela Barba
Carla Cantore
Alessandro Capurso
Antonello Di Gennaro
Tommaso Putignano

Contatti:
lostatosocialedellafotografia@gmail.com


RI-VEDERE

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3 INCONTRI CON 2 FOTOGRAFI
Antonello DI GENNARO e Carla CANTORE

esplorano il linguaggio fotografico come strumento per narrare, attraverso le immagini la società.

sabato 12 settembre 2020
venerdì 18 settembre 2020
venerdì 25 settembre 2020
dalle ore 17.00 alle 19.00

CHIOSTRO DELLA TORRE NORMANNA SVEVA - RUTIGLIANO (BA)

LA LINEA del TEMPO SOSPESO - RUTIGLIANO (BA)

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Seconda tappa della mostra fotografica "LA LINEA del TEMPO SOSPESO" nata dal contest fotografico racconta "Il tuo mondo dentro casa" organizzato durante il periodo del lockdown | covid-19 da Interno Giorno.

Vernissage sabato 12 settembre ore 19
presso il MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO - RUTIGLIANO (BA)

La mostra resterà aperta dal 12 al 26 settembre 2020
orari mostra 17 - 21

INGRESSO LIBERO
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