BARLETTA UNA CITTÀ SOSPESA mostra fotografica di Antonello Di Gennaro presso la Galleria FIAF Taranto



11 dicembre 2022 ore 10.00 Antonello Di Gennaro ospite presso la Galleria FIAF a Taranto per raccontare la sua storia, la sua carriera, lo stile, la visione fotografica di fotografo professionista da 30 anni per festeggiare anche i 30 anni del Circolo il Castello.
In contemporanea è stata allestita la mostra fotografica "BARLETTA UNA CITTÀ SOSPESA"
Il progetto prevede una serie di immagini realizzate lo scorso marzo 2018 per rappresentare il rapporto tra Arte e Architettura in relazione al concetto di luce naturale. Il fotografo racconta in maniera semplice ed intuitiva alcuni concetti relativi al concetto di luce.
Definendo il significato di luce troviamo che è l’ente fisico cui è dovuta l’eccitazione nell’occhio delle sensazioni visive, cioè la possibilità di vedere gli oggetti. Se da una definizione tecnica ci si sposta ad una più articolata potremmo imbatterci nel pensiero di Michele De Lucchi per cui “la luce, come tutte le cose del mondo del resto, è fatta da tanti pezzetti diversi, ma la sua qualità la si percepisce nell’insieme”.
“L’architettura senza luce non è architettura” recita Alberto Campo Baeza che ha fatto nei suoi lavori una costante ricerca della luce nella qualificazione dello spazio. Essa è materia e materiale dell’architetto: dalla luce solare che riveste un edificio, che modifica la percezione dello stesso e che viene catturata e propagata negli ambienti interni, all’uso di quella artificiale. Diventa l’elemento centrale della costruzione e della creazione dello spazio.
Essa gioca una componente fondamentale per ogni artista. Dirigere l’emissione di luce sulla propria opera d’arte, plasma le sensazioni generate dai colori. Ogni fotografo deve capire le sue direzioni ed i versi in cui essa viaggia per modellare lo scatto perfetto. La luce può determinare il successo o il fallimento di qualsiasi creazione: esplora, dove, arte, architettura, design e fotografia incontrano la luce.
La luce è l’anima dello spazio, un soffio che lo attraversa, donandogli la vita. Insegue l’ombra senza sosta, in un rituale che rende visibile lo scorrere del tempo. L’architettura è, innanzi tutto, la messa in atto di questo rituale che accende la dialettica tra fissità dello spazio e azione dinamica della luce, tra finitezza delle misure e incommensurabilità dell’elemento naturale, tra concretezza della materia e astrazione del vuoto.
www.antonellodigennaro.com
WORD PRESS PHOTO 2021
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Il Matera Iternational Photography nelle persone del Presidente Carla Cantore e dell'Artdirector Antonello Di Gennaro anche questo anno sono stati presenti all'apputamento annuale con ilWorld Press Photo 2021, il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, il quale è giunto alla 64esima edizione (viene organizzato dall’omonima fondazione olandese dal 1955).
Due i premi più importanti: il «World Press Photo of the year» (che premia una singola foto) e il «World press photo Story of the year», che riconosce una storia e non una sola immagine, annunciati quest’anno online a causa delle restrizioni legate alla pandemia.
A vincere il primo premio, per la migliore foto dell’anno, il danese Mads Nissen, con uno scatto realizzato a São Paulo, che mostra una paziente malata di Covid-19 ricevere il primo abbraccio in cinque mesi, attraverso una «tenda dell’abbraccio» (la fotografia era candidata nella categoria «General news»).
Primo premio nella categoria «Long-Term Projects» per l’italiano Antonio Faccilongo, con il progetto «Habibi»: la cronaca di una storia d’amore ambientata in uno dei conflitti contemporanei più lunghi e complicati, quello della guerra israelo-palestinese. Questo progetto, le cui immagini sono state realizzate tra il 2015 e il 2019, mostra le conseguenze della crisi palestinese sulle famiglie attraverso la storia delle mogli dei prigionieri che hanno fatto ricorso al contrabbando di sperma per concepire figli attraverso la fecondazione in vitro (FIV), in quanto i loro mariti stanno scontando pene a lungo termine nelle carceri israeliane.
L'organizzazione e l'allestimento della mostra è stata ben curata, ogni fotografia, ogni reportage racconta un pezzo di storia unica e interessante che induce a riflettere.
Quest’anno i fotografi partecipanti sono stati 4.135 provenienti da 130 Paesi diversi. Le immagini sottoposte al giudizio della giuria sono state oltre 74mila (tutte le fotografie e storie vincitrici su https://www.worldpressphoto.org/contests/2021).
Ufficio Stampa
MIP
ANTEPRIMA BIENNALE FOODPHOTOGRAPHY
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Matera International Photography, foodphotography, cultural festival, photoghaphers.it, foodgraphia, cna basilicata, food, photographer, matera, capitale europea della cultura, Basilicata, SHOOTFOOD, Andrea Belloni, Antonello Di Gennaro, Nicoletta Innocenti, Renato Marcialis, Patrizia Piga, Lino Vecchiato,
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L’ARTE DEL CIBO DAL TERRITORIO ALLA TAVOLA
Il 31 ottobre 2021 alle ore 10.00 l’Associazione Matera International Photography presenta l’anteprima della biennale FOODPHOTOGRAPHY a cura dell'Art Director Antonello Di Gennaro presso la bellissima sede di Alvino 1884 sita in via San Vito, 28 a Matera in occasione della V° edizione del Cultural Festival della cultura alimentare italiana.
Negli ultimi decenni la fotografia ha sviluppato sotto varie forme la sua forza comunicativa: l’immagine trasmette istantaneamente informazioni, suggestioni, emozioni. In parallelo è maturato l’interesse nei confronti della cucina e del “mangiar bene”, ed è crescita la consapevolezza che il cibo possiede una forte connotazione culturale e che le abitudini alimentari rappresentano un tratto distintivo di ogni territorio. Il 2018 è stato proclamato Anno Nazionale del Cibo Italiano dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dai quello dei Beni Culturali e del Turismo. Questo progetto si propone di esaltare il legame profondo tra il cibo, territorio e identità culturale, narrando l’intera storia di ciò che mangiamo. Il visitatore sarà invitato a soffermarsi su diversi possibili approcci all’argomento cibo, e ad andare oltre le immagini stereotipate che ricorrono quando si tratta di food. Già il titolo, “L’ARTE DEL CIBO, DAL TERRITORIO ALLA TAVOLA”, sottolinea come il cibo non rappresenti il mero soddisfacimento di un’esigenza fisiologica, o un semplice appagamento del palato. In realtà tutto il suo percorso, dalla coltivazione alla produzione alla cucina, rappresenta una reale espressione artistica. E per dare risalto all’arte del cibo, niente di meglio di un’altra arte: la fotografia, linguaggio ed espressione contemporanea. In questa anteprima sei professionisti dell’immagine: Andrea Belloni, Antonello Di Gennaro, Nicoletta Innocenti, Renato Marcialis, Patrizia Piga e Lino Vecchiato; tracceranno un percorso a largo raggio su un tema importante e complesso come l’alimentazione, elemento indispensabile per l’esistenza, che porta in sé tutto il suo valore economico, cultuale, etico e sociale. Il cibo è (o dovrebbe essere) espressione dell’amore di chi lo produce, di chi lo prepara, di chi lo condivide. Intorno al cibo si stringono relazioni, attraverso il cibo si tramandano tradizioni. (M. Villa)
In collaborazione con il CNA Comunicazione e terziario avanzato – Sez. Fotografia, partner dell’evento, Photographers.it, FoodGraphia food art & photography e ShootFood.
A cura
Ufficio Stampa MIP
SCHEDA INFO
EVENTO/MOSTRA:
ANTEPRIMA BIENNALE FOOD PHOTOGRAPHY
L’ARTE DEL CIBO, DAL TERRITORIO ALLA TAVOLA
Autori: Andrea Belloni, Antonello Di Gennaro, Nicoletta Innocenti, Renato Marcialis, Patrizia Piga e Lino Vecchiato.
Prodotta da: Matera International Photography
Direzione artistica: Antonello Di Gennaro
Luogo: Avino 1884 – Via San Vito 28 a Matera
Inaugurazione: 31 ottobre 2021 ore 10.00
Apertura al pubblico: 31 ottobre – 1 novembre 2021
Orari: 10.00 – 19.00
Info mostra: Antonio +39 393 6500 200
www.materainternationalphotography.com
Ingresso: Libero
Modalità anti Covid-19: Ingresso con Green Pass con registrazione obbligatoria.
A questo link per REGISTRARTI
In collaborazione: CNA, CULTURAL, PHOTOGRAPHERS.IT, FOODGRAPHIA, SHOOTFOOD
Responsabile della Comunicazione: Carla Cantore
LE ULTIME DONNE TATUATE DEL MYANMAR
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Luciana Trappolino, Le ultime donne tatuate del Myanmar, Matera, Matera Interantional Photography, Arti Visive Gallery, Antonello Di Gennaro, CNA Basilicata, Leo Montemurro, Maristella Trombetta, Università degli Studi di Bari,
MOSTRA FOTOGRAFICA a cura di Antonello Di Gennaro Art director Matera International Photography.
Il 17 ottobre 2021 alle ore 17:00 l’Associazione Matera International Photography presenta la mostra fotografica “LE ULTIME DONNE TATUATE DEL MYANMAR” della fotografa Luciana TRAPPOLINO a cura del Art Director Antonello Di Gennaro presso la storica sede della Arti Visive Gallery.
Luciana Trappolino, in questo suo reportage non predatorio fatto essenzialmente di ritratti, il cui termine più appropriato sarebbe reportrait, racconta, portando l’osservatore a contatto con la storia e i contesti più ampi di cui fanno parte, le donne "Chin" il cui senso della bellezza è piuttosto particolare: il loro viso è decorato con tatuaggi per i quali sono state anche disposte a sopportare sofferenze. Di queste donne ne sono rimaste nel mondo una trentina o giù di lì e oggi la maggior parte di loro ha sessanta, settanta anni. La leggenda narra che quando un re birmano viaggiò nella regione, fu così impressionato dalla bellezza delle donne che ne rapì una per prenderla in sposa: le famiglie Chin avrebbero così iniziato a tatuare le figlie per assicurarsi che non venissero rapite. Altre testimonianze dicono che il tatuaggio sia stato fatto per rendere le donne più belle o, cosa più plausibile, per differenziare le diverse tribù.
I tatuaggi sono realizzati utilizzando spine, sangue di bue, estratti di piante e grasso animale: il processo, estremamente doloroso, specialmente nella parte intorno agli occhi, può richiedere fino a due giorni per essere completato.
La tradizione poi ha iniziato a vivere di vita propria, fino agli anni ’60, quando il governo la bandì giudicandola barbarica. Ancora oggi permane come una pratica importante per la popolazione Chin, anche se sono principalmente le donne anziane a custodire i tradizionali segni sul volto.
Nella serata inaugurale saranno presenti: l’autrice Luciana Trappolino, il presidente Carla Cantore e il direttore artistico Antonello Di Gennaro del MIP – Matera International Photography, prof.ssa di estetica – Università degli Studi di Bari – Pres. Sfi – Sez. Lucana Maristella Trombetta, il presidente CNA Basilicata Leo Montemurro, il rappresentate del Comune di Matera, Mino Di Pede, Grazia Di Pede e Franco Di Pede della Arti Visive Gallery.
In collaborazione con il CNA Comunicazione e terziario avanzato – Sez. Fotografia, partner dell’evento Arti Visive Gallery.
A cura
Ufficio Stampa MIP
MOSTRA: LE ULTIME DONNE TATUATE DEL MYANMAR
Autore: Luciana TRAPPOLINO
Prodotta da: Matera International Photography
Direzione artistica: Antonello Di Gennaro
Luogo: Arti Visive Gallery - Via delle Beccherie, 41 – 75100 Matera
Inaugurazione: 17 OTTOBRE 2021 ore 17.00
Apertura al pubblico: Dal 17 ottobre al 7 novembre 2021
Orari: 10:30 /12:30 – 17:30 / 20:30 chiuso il lunedì
Info mostra: Antonio +39 393 6500 200
www.materainternationalphotography.com
Ingresso: Libero
Visite guidate per gruppi e scuole su prentazione
Modalità anti Covid-19: Ingresso con Green Pass
In collaborazione: CNA, Arti Visive Gallery.
Responsabile della Comunicazione: Antonello Di Gennaro
Word Press Photo 2021: i finalisti
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I fotoreporter della maggiori testate editoriali internazionali, come Bbc, Cnn, Le Monde, El Pais, National Geographic, ogni anno partecipano al Word Press Photo e gareggiano per il titolo nelle diverse categorie del premio di fotogiornalismo più importante e conosciuto a livello mondiale, dedicato al racconto degli eventi dell'anno precedente attraverso le fotografie.
Per la prima volta nella sua storia, la valutazione del concorso World Press Photo 2021, a causa della pandemia, è avvenuta nel gennaio 2021 online, con sette giurie specializzate presiedute da NayanTara Gurung Kakshapati e Muyi Xiao che hanno selezionato le migliori immagini e storie in ciascuna delle otto categorie del concorso.
Quest’anno, 4.315 fotografi da 130 paesi hanno presentato 74.470 immagini.
In totale i fotografi finalisti sono 45 tra cui ci sono tre finalisti italiani:
Antonio Faccilongo, fotografo pluripremiato, in gara con una storia fotografica sulla relazione d’amore tra i prigionieri palestinesi e le loro mogli, in attesa da anni del loro ritorno. Gli uomini sono costretti a contrabbandare fuori dalle prigioni il proprio seme per cercare di concepire, impossibilitati anche solo ad abbracciare le persone amate.
Gabriele Galimberti il quale è riuscito a conquistare uno dei premi della sezione «portraits» del Wpp grazie a The ‘Ameriguns’, una ricerca fotografica sul rapporto fra gli americani e le armi.
Lorenzo Tugnoli dell’agenzia Contrasto, già vincitore del Pulitzer nel 2019 e dello stesso World Press Photo è nuovamente candidato per quest’ultimo premio, nella categoria Spot News del 2021, per il servizio effettuato al porto di Beirut subito dopo la devastante esplosione dello scorso 4 agosto; insieme a Evelyn Hockstein; Valery Melnikov, Luis Tato.
I vincitori saranno annunciati il 14 aprile.
Dalla fotografia singola al fotoracconto.
La fotografia dal 1839 anno convenzione della sua nascita, in cui veniva denominata dagherrotipia dal nome del suo inventore Louise Jacque Mondè Daguerre, ha avuto un forte impatto sulla società e diverse sono state le reazioni rispetto alla sua creazione.
Dal punto di vista tecnico l’immagine nel XIX secolo, veniva generata tramite la camera oscura, veniva fissata chimicamente su un supporto di vetro o di carta, non era a colori, ed era sorprendentemente somigliante al soggetto ripreso, paesaggio o essere umano.
Per la prima volta l’uomo poteva concepire e conservare immagini senza doverle produrle manualmente, ma con l’ausilio di uno strumento: la macchina fotografica.
Le reazioni furono contrastanti rispetto a questa nuova scoperta. Alcuni ne divennero ammiratori tra cui Emile Zolà, per il valore che aveva la fotografia di ritratto preciso e imparziale della realtà; altri, invece, la criticarono aspramente tra questi Charles Baudelaire, nel suo “Il Pubblico Moderno e la Fotografia” del 1859.
Baudelaire sebbene la disprezzasse si fece ritrarre da Daguerre e Nadar, considerati i maggiori fotografi della sua epoca. Egli quindi rimase affascinato dalla immediata capacità della fotografia di bloccare il tempo e di lasciare un’immutabile traccia di se stessi nel futuro, desiderio di ogni artista.
La fotografia fin dalla sua nascita ha aperto diversi dibattiti: sulle sue qualità artistiche (la fotografia e arte?), sulle sue caratteristiche (di documento e testimonianza attendibile della realtà) e della sua influenza sulla società e sul suo rapporto con la realtà e così via.
A causa dei costi delle attrezzature e della stampa, inizialmente era un privilegio solo delle classi agiate, con l’avvento del digitale, quasi tutti hanno scattato una fotografia o comunque ne hanno conservate qualcuna, per cui la fotografia è diventata di uso popolare, familiare e di grande impatto sociale.
Inizialmente proprio grazie alla possibilità che veniva offerta dalla fotografia di raccogliere informazioni, venne utilizzata come mezzo di documentazione, e da qui, nacque il fotogiornalismo che veniva impiegato soprattutto per far conoscere la crudeltà della guerra.
“Molte riviste si cimentavano con moderne impaginazioni in cui le fotografie creavano un vero e proprio racconto che, opportunamente titolato e disalcalizzato, poteva vivere di vita autonoma, indipendentemente dal testo dell'articolo. Nasceva insomma il fotogiornalismo nella sua accezione moderna che negli anni tra il primo dopoguerra e quelli della guerra fredda degli anni cinquanta avrebbe vissuto la sua stagione d'oro: poi l'avvento dell'informazione televisiva ne avrebbe decretato il lento declino anche se le sue numerose trasformazioni ne avrebbero consentito la sopravvivenza fino ai nostri giorni” [1]
Negli anni compresi tra le due guerre mondiali, non ci furono fotogiornalisti di spicco. Molto significativa fu l’esperienza, però, della rivista “Illustrazione Italiana” che diede grande risalto all’ immagine fotografica e introdusse il fotoracconto.
Negli Stati Uniti, invece, nasceva la rivista, Life, la quale grazie alla sua notevole disponibilità economica, poteva disporre dei fotografi migliori a cui veniva affidato il compito di percorre il mondo intero per documentare gli aspetti naturalisti e umani, i moti e le situazioni sociali.
Questo permise alla rivista Life di avere una grande forza nella documentazione fotografica rivolta ad un pubblico più vasto non solo americano.
I fotografi grazie alla possibilità di utilizzare macchine fotografiche di piccolo formato, e ai nuovi mezzi di trasporto sempre più veloci, che consentivano di essere presenti in ogni parte del mondo, ebbero la possibilità di diventare autori di servizi fotografici “i fotoracconti” i quali erano in grado di rispondere alle necessità del pubblico che mostrava interesse e voleva approfondire le informazioni visive del mondo. Così si ribaltò la situazione nel rapporto foto/testo, i fotoracconti erano autosufficienti e i testi diventarono didascalie a corredo delle immagini, non era più il testo a dominare le fotografie ma esso andava solo ad arricchire le immagini.
La fotografia viene quindi utilizzata come strumento di documentazione, di fatti storici, sociali, e la figura del fotografo assume un ruolo importante, diventa considerevole il suo punto di vista, cosa lui sceglie di osservare e fotografare, e cosa e chi sceglie di “immortalare”.
Tutto ciò è influenzato dalle dinamiche interne del fotografo, da un continuo dialogo dinamico “dentro-fuori” di sé, che porterà a realizzare e a contraddistinguere le sue immagini.
Mario Calabresi, giornalista e direttore della Repubblica scrive a tal proposito che “W. Eugene Smitih, uno dei padri del fotogiornalismo moderno, sposava fino all’estremo i temi dei suoi reportage, con una ossessione per il rigore e per l’estetica. Rifuggiva L’idea dell’immagine singola, della foto solitaria, per lui tutto aveva senso solo all’interno di un’indagine, di una storia” [2]
Nel suo testo “Camera chiara” Barthes (1980) parla di studium e punctum in riferimento alla foto. Attraverso lo studium, il lettore entra in una relazione seria, educata, razionale col fotografo, discute con lui, ascolta le sue ragioni, si fa un'opinione. Lo studium educa.
La cosa che cerchiamo in una foto, che spiega la foto, per Barthes è lo studium. Che è il significato generale, premeditato e predisposto, potremmo dire il messaggio intenzionale che una fotografia vuole trasmetterci. Che il punctum non si cerca: ti viene a cercare. Che non si spiega: è lui che spiega noi. E’ quel dettaglio che disorienta l’osservare, senza che egli possa dare una spiegazione, un motivazione; aprendo di fronte ai suoi occhi “uno spazio illimitato di emozioni, di interrogativi e di rimandi ad esperienze già vissute.” [3]
© Carla Cantore
Bibliografia:
[1] Pio Taranti (2011) FOTOGRAFIA Elementi fondamentali di linguaggio, storia, stile.
[2] Mario Calabresi p.170 (2013) A occhi aperti. Contrasto S.r.l. Roma
[3] Claudio Marra p. 86 (1990) Scene da camera. Edizioni Essegi, Ravenna.
La rappresentazione dei fotografi di emigranti e immigrati
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fotografia, emigrazione, etnografia visuale, fotografia contemporanea, fotogiornalismo, immigrazione, storia, reportage, antonello di gennaro, antropologia visuale,
Si può facilmente constatare come la società contemporanea stia dando una priorità sempre più rilevante alle immagini, anziché alla scrittura, quale mezzo di comunicazione diretta. Abbondano le fotografie di visi, di corpi, dei beni più diversi e dei luoghi più remoti, sempre a portata dei nostri occhi: sui giornali, nelle riviste, alla televisione, sui cartelloni pubblicitari e, in tempi più recenti, sui social network. Tuttavia, nel considerare le fotografie come messaggi che arrivano fino ai nostri giorni, allo storico spetta il compito di svelare la trama dei segni che li compongono. Questo significa diffidare della «naturalità» apparente dell’informazione trasmessa.
E ancora, nell’interpretare il «significato» delle immagini, appare necessario comprendere che esse sono parti costitutive di un messaggio molto complesso, fatto anche di parole. Per tali motivi ritengo preziose e strumentali le questioni trattate dalla storica Paola Corti nel suo lavoro Emigranti e immigrati nelle rappresentazioni di fotografi e fotogiornalisti, che consente ai lettori di cogliere nelle fotografie sulle migrazioni italiane l’istante nel quale il futuro si è annidato nel passato.
In questo futuro ci sono i flussi migratori manifestatisi tra la fine dell’Ottocento –momento nel quale milioni di italiani partirono – e gli ultimi due decenni quando l’Italia è passata ad accogliere gli immigrati. Se, da un lato, si constata che la direzione degli spostamenti ha invertito il proprio senso; dall’altro, si osserva un mutamento nella percezione dei suddetti processi migratori da parte della società italiana, un cambiamento nel quale i mezzi di comunicazione hanno giocato un ruolo chiave nell’anticipare e nel diffondere l’immaginario visivo sulle migrazioni. Per comprendere tale congiuntura, l’autrice ha analizzato un insieme di fotografie dell’esodo italiano successivo alla Seconda guerra mondiale, scattate da fotoreporter italiani, in relazione alle immagini prodotte durante la prima grande emigrazione italiana verso gli Stati Uniti.
In seguito, queste immagini sono state messe a confronto con quelle che ritraggono la recente immigrazione straniera in Italia, fatte dagli autori freelance e pubblicate in periodici e cataloghi fotografici su questa tema. Dall’analisi delle immagini fatte dai fotogiornalisti italiani nel secondo dopoguerra, si scopre che sono stati immortalati sostanzialmente quegli istanti del passato nei quali gli individui transitavano per le stazioni dei treni e per i posti di frontiera, ossia, le località di partenza e di passaggio. Non manca neppure la documentazione visiva delle località di arrivo, e in queste, immortalate dalle fotografie, ci sono le condizioni di privazioni nelle quali vivevano gli immigrati italiani nei nuovi paesi di accoglienza, così come le precarie abitazioni familiari, gli alloggi dei lavoratori e le degradanti condizioni di lavoro dei minatori nei paesi europei, come il Belgio e la Svizzera.
Ora, un’importante rivelazione si riferisce al fatto che tali costruzioni visive erano in armonia con la rappresentazione dell’emigrazione nella cinematografia italiana dell’epoca. Così, il cinema si immerse nel clima di crisi economica, politica e sociale dell’Italia del secondo dopoguerra e poi si erse a critico di questa realtà con veri capolavori che narravano la dura vita quotidiana degli italiani in altri paesi e in altri mondi. In questo senso, accanto alla critica, il cinema descrive minuziosamente il tragitto che milioni di italiani percorsero: rappresenta i luoghi di partenza e di arrivo, confronta modi, gesti e comportamenti, allo stesso tempo in cui narra l’ambiguità di cosa significhi «essere italiano» all’estero.
Infine, è l’esame delle fotografie relative all’immigrazione straniera contemporanea nell’Italia che ritengo cruciale e prezioso per confermare il ruolo dei mezzi di comunicazione nella costruzione e nella divulgazione di una certa percezione dei fenomeni migratori. Tale percezione, in un primo momento, si mostrò benevola, pietosa e solidale per quanto riguardava il diritto di ogni individuo a continuare la propria vita in un qualsiasi luogo del mondo in cui si senta realizzato.
Però, in un secondo momento, l’immagine che è prevalsa nella produzione fotogiornalistica recente, si è distinta nel registrare e nel divulgare fino allo sfinimento il viaggio e l’arrivo degli immigrati sul territorio italiano, a centinaia e a migliaia. Di conseguenza, il presente si è tinto con i colori della paura di una «invasione» e ha virato verso l’intolleranza. E il futuro? Il futuro, afferma Paola Corti, può stare negli occhi e negli obiettivi degli autori freelance, forse nell’indipendenza, ma certamente nell’originalità delle loro fotografie; alla stessa maniera può essere affidato alle narrative dei cataloghi che trattano della tematica dell’immigrazione. Ma, soprattutto, sta nell’interazione imprescindibile tra i tre testi: quello visivo, quello orale e quello scritto; ossia nei nuovi messaggi elaborati con immagini e parole.
Antonello Di Gennaro - Direttore artistico
Cortona on the move 2020
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etta, Gildeon Mendel, Nanna Heitmann, Simon Norfolk, Daniele Ratti, Mattia Balsamini, Paolo Woods & Gabriele Galimberti, Edoardo Delille, Michele Spatari, Damiel Etter, Luján Agusti & Nicolás Deluca, Luis Cobello, Mattia Crocetti, Gaia Squartci, Serena Vittorini, Silvia Bigi, Mo Scarpelli Arianna Rinaldo, Alex Majoli, Andrea Frazz,
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COTM 2020_COVID
FOTOGRAFIA - EVENTO
CORTONA (AR) 11 LUGLIO | 27 SETTEMBRE 2020
Statement della direzione artistica
a cura di Arianna Rinaldo
A marzo, la maggior parte del mondo ha dovuto premere pausa e diventare testimone passivo e sconvolto, da vicino o da lontano, di un nuovo nemico che è entrato nella nostra vita. COVID-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus, come veniva chiamato all’inizio, si è insinuata nei nostri paesi, città e case senza chiedere il permesso.
In soggezione e impauriti, dapprima ci siamo fermati non sapendo cosa fare e come reagire. Come esseri umani, abbiamo cercato di trovare spiegazioni, abbiamo cercato di definire e classificare ciò che stava accadendo. Nel frattempo il nostro lavoro e la nostra vita sociale si sono fermati.
Cortona On The Move, come la maggior parte dei festival e degli eventi culturali, ha dovuto annullare tutti i piani, mettersi a sedere e pensare. Fortunatamente il nostro team e i nostri sponsor sono riusciti a reagire abbastanza rapidamente e dare vita a un progetto stimolante che, in pochi mesi, è diventato quello che volevamo fosse: un archivio permanente in progress sulla pandemia da coronavirus.
The COVID-19 Visual Project. A Time of Distance è visitabile su covid19visualproject.org
Ora abbiamo davanti una nuova sfida: riaprire le porte dei luoghi del nostro festival e allestire mostre relative a questo progetto.
Conosciuto da dieci anni come festival di fotografia documentaristica, Cortona On The Move aveva da poco rinnovato il proprio impegno e focus ad estendere l’attenzione verso una maggiore varietà di narrazioni visive impegnate che raccontano storie sul nostro mondo.
Ed ecco che, all’improvviso, ci siamo dovuti confrontare con un Nuovo Mondo … o almeno un tentativo di intraprendere e comprendere un possibile Nuovo Ordine Mondiale.
Ciò che abbiamo capito fin dall’inizio, è stato che questo momento era piuttosto singolare nella storia e abbiamo immediatamente sentito l’urgenza di testimoniare e registrare eventi ed emozioni al fine di crearne una memoria storica collettiva.
Allo scadere dei mesi di lockdown alcune parti del mondo hanno iniziato ad aprirsi con cautela nel tentare di formalizzare nuovi comportamenti. Noi abbiamo deciso di riavviare il motore e dare spazio al nostro festival nel suo formato fisico, quello per cui è meglio conosciuto. Con alcune restrizioni e un numero limitato di mostre, offriremo una selezione dei lavori che sono state commissionati per formare l’archivio di The COVID-19 Visual Project.
Apparentemente alcune cose sembreranno uguali, ma inevitabilmente siamo tutti invitati a guardare il mondo e noi stessi in modo diverso. Benvenuti a un’edizione speciale: la decima edizione di Cortona On The Move.
Rispettando le direttive sul distanziamento sociale e sulla salute, ti invitiamo a venire a Cortona dall’11 luglio e sperimentare un viaggio negli ultimi mesi, con storie che riguardano la pandemia da coronavirus e il modo in cui ha influenzato la nostra vita, toccando tematiche legate alla salute, società, economia, intimità e speranza.
"Nonostante le severe disposizioni anti Covid-19 la mostra è stata ben organizzata e curata, accoglienza calorosa e partecipata. Un complesso progetto di fotografia con ambientazioni distribuite su gran parte del antico borgo di Cortona, perla di bellezza storica,con autori di talento internazionali."
Antonello DI GENNARO
Carla CANTORE
© ADG | CC
CONSIGLIATA LA VISIONE.
ARTISTI IN MOSTRA:
Alex Majoli | Covid on scene
Andrea Frazzetta | The life and death shift
Gildeon Mendel | 2Metres mask portraits on ridley road
Nanna Heitmann | Pandemic of social inequality
Simon Norfolk | Lost capital
Daniele Ratti | Next stop
Mattia Balsamini | Contigency plans
Paolo Woods & Gabriele Galimberti | Loked in beauty
Edoardo Delille | Silenzio
Damiel Etter | The indispensables
Luján Agusti & Nicolás Deluca | The new end of the word
Michele Spatari | no place like hope
Luis Cobello | Afuera
Mattia Crocetti | COndiVidendo 19
Gaia Squarci | New Yorks health card daries
Serena Vittorini | En ce moment
Silvia Bigi | Urtümliches Bild
Mo Scarpelli | Sogni di Roma
Michele Sfatari | No place like hope
Biennale Internazionale d'Arte Fotografica
Riviera dei Cedri 2020
digital edition
"Storie di bellezza"
Frammenti di visioni, fermi-immagine da un tempo sospeso, l'incanto della realtà, l’armonia, il fascino di un mondo di meraviglie.
La mostra è un percorso di riscoperta di valori, di esistenze, di condivisione, è un racconto per immagini da realtà misconosciute, trascurate se non sminuite, ma che fanno parte della nostra identità, della nostra storia.
La ferrovia dismessa, la città della storia, l’antica salina, il carnevale sardo, i riti della settimana santa, la realtà del quotidiano, serbano immagini di bellezza che vale la pena raccontare.
La mostra è anche un network di informazioni per allargare i propri orizzonti, per aprire spazi di riflessione.
E’ un percorso di scoperta, costruito intorno all’esperienza emozionale di fotografi che hanno fissato in immagini visioni da un mondo meraviglioso e che traducono in storie di bellezza.
“Non c’è futuro senza conoscenza!”
Gli autori coinvolti sono:
-Carla Cantore, Matera: la bellezza pre-lockdown.
-Antonello Di Gennaro: Matera durante il lockdown, la bellezza ritrovata.
-L’Impronta (Diego Mazzei, Giovanna Seminara, Marilena Pulito, Carmelo Gallo, Sonia Ferrari): FerroSilana Express.
-Stefano Milazzo: Laguna a sud.
-Tiziana Ruggiero: Animae a nudo.
-Vincenzo Tosini: Sardegna e La settimana Santa a Verbicaro e Diamante.
-Ludovica Sarti: Storie da un mondo di meraviglie.
-Ombretta Gazzola: Bruciano le ore.
Mostra dedicata a Federico Fellini e alle "Moto del Maestro"
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cinema, Federico Fellini, Rimini, Emilia Romagna, fotografria, regia, Amacord, La dolce vita, Vespa, Marcello Mastroianni, Riccione,
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RIMINI – Fellini e Rimini.
Fellini è Rimini. Uno dei registi più famosi della storia del cinema – al punto da diventare ‘aggettivo’ (felliniano) – ha indissolubilmente legato il suo nome alla città che gli diede i natali, omaggiata nel film premio Oscar “Amarcord” (1973), dove seguendo le vicende di Titta e della sua famiglia, si viene immersi nell’immaginario del regista, in un itinerario personale che tocca luoghi – il mare, il Grand Hotel, la piazza – e personaggi divenuti celeberrimi: la tabaccaia, la Gradisca, Volpina e, naturalmente, Scurèza ‘d Corpolò, il motociclista che sfreccia in alcune sequenze del film sul molo, sui resti del falò o tra la neve.
La moto di Scureza, ma anche il carretto di Zampanò e la Vespa de “La dolce vita” si possono ammirare ancora per qualche giorno grazie all’esposizione “Fellini. Le moto del Maestro” in corso a Le Befane Shopping Centre di Rimini, che si concluderà domenica 23 agosto 2020, realizzata dalla direzione del Centro commerciale in occasione del centenario dalla nascita di Federico Fellini (1920-2020) in collaborazione con il Museo del Sidecar di Cingoli.
L’evento è occasione per celebrare l’anniversario della nascita del Maestro riminese e riscoprire ancora una volta le sue opere nella città in cui ha vissuto gli anni della giovinezza, molti dei quali trascorsi con il fratello Riccardo ed un triciclo della Giordani a cui è dedicato uno stand della mostra. Fellini ha sempre amato la motocicletta. Da bambino le moto gli apparivano enormi ed il motociclista gli sembrava una creatura mitologica. Spesso è che così che ha voluto trasporre i sogni d’infanzia nelle sue pellicole. Ricordiamo ad esempio il centauro Scurèza ‘d Corpolò, figura mitica che appare improvvisamente in varie sequenze di Amarcord e, dopo veloci scorribande per il paese o lungo il molo, scompare di colpo. Altri veicoli importanti nella cinematografia di Fellini sono il motocarro di Zampanò e la Vespa dei paparazzi ne “La dolce vita”; non semplici comparse, ma oggetti entrati nell’immaginario collettivo. Un totale di 9 repliche sono allestite dal Museo del Sidecar di Cingoli e si trovano esposte insieme a gigantografie ed oggettistica che consentono al visitatore di immergersi completamente nella storia felliniana.
I VEICOLI IN MOSTRA
In mostra sono esposti, tra gli altri, il motocarro Guzzi Ercole, del 1950, utilizzato nella rappresentazione teatrale de “La Strada” (1954), film con Anthony Quinn e Giulietta Masina. Il girovago Zampanò attraversa l’Italia con la sua donna e il suo motocarro Sertum, che usa anche come casa e palcoscenico per i suoi spettacoli. Dal film è stato tratto un balletto teatrale in cui viene utilizzato un motocarro simile, un Guzzi Ercole, anch’esso allestito secondo le esigenze sceniche. E poi il motocarro Innocenti FD 125 C, del 1952, de “Le notti di Cabiria” (1957). In questo film Fellini racconta la miseria di una donna che per sopravvivere è costretta a fare il mestiere più antico del mondo. Uno dei clienti di Cabiria – interpretata da Giulietta Masina, compagna di vita del maestro – si presenta a bordo di un motocarro Innocenti 125, un veicolo commerciale tipico degli anni ’50.
E ancora la mitica vespa 125 del 1959 – anch’essa originale – utilizzata dai fotografi d’assalto per la sua praticità nel traffico angusto di Roma, de “La Dolce Vita” (1960). Il film, con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, è una pietra miliare nella cinematografia mondiale, e un vero e proprio fenomeno mediatico. Vennero imposti nella memoria collettiva termini come ‘paparazzo’ (dal nome del fotografo collaboratore del protagonista) e ‘dolcevita’ (che da lì in poi indicherà il tipo di maglia a collo alto). Tra gli altri mezzi allestiti c’è anche il Gilera Saturno sidecar, del 1953, de “I Clowns” (1971). Si tratta di una sorta di documentario in cui il regista rievoca la sua infanzia. Fellini è il bambino che vede il tendone del circo che sta per essere montato e i clowns gli ricordano alcuni personaggi che ha conosciuto nella realtà. Tra questi un capostazione molto preso dal suo ruolo e un ufficiale che gira a bordo di un sidecar Gilera.
In “Roma” (1972) poi, tra le altre, ecco una Laverda 750 S, del 1970. Il film è un ritratto della capitale negli anni ’30 vista dagli occhi di un giovane di provincia che arriva alla Stazione Termini. Nel finale, ambientato negli anni ’70, un gruppo di motociclisti, visti come i nuovi “Barbari”, invadono le vie di una Roma notturna e confusionaria mentre la Polizia cerca di riportare l’ordine.
Tra gli altri cimeli alla mostra riminese è possibile ammirare anche la Harley-Davidson WL 750, del 1932, di “Amarcord” (1973), il film più autobiografico di Fellini. Il regista ricorda infatti il periodo della sua adolescenza in una Rimini caratterizzata da personaggi straordinari come il motociclista Scurèza ‘d Corpolò che sfrecciava per il paese cavalcando, appunto, la sua poderosa motocicletta. In pochi secondi Fellini consegna alla storia l’archetipo del motociclista: un personaggio mitologico che ricorda il centauro o il cavaliere, dai lineamenti poco chiari ma dalla grande imponenza. Anche ne “La città delle donne” (1980) la componente surreale è predominante: un’incursione nel pianeta delle donne e del loro ruolo all’interno della società. La moto è come la donna, simbolo di sessualità ma poco comprensibile per l’uomo, in questo caso Marcello Mastroianni ha la parte dell’incauto Snaporaz e la moto, in mostra, è una Guzzi 500 Superalce, del 1949.
Ne “La voce della luna” (1990), l’ultimo film di Fellini – un testamento spirituale e cinematografico – si narrano le gesta di due personaggi (Paolo Villaggio e Roberto Benigni) che inseguono i loro sogni e ascoltano la voce della luna che sale dai pozzi. Ma scopriranno che la realtà è spesso molto più dura dei sogni: ad esempio una donna lascia il marito per un motociclista che la chiama ‘dinamite pura’, un nomignolo che potrebbe tranquillamente dare alla sua Ducati Indiana 650 – in mostra – descritta da Fellini nella sceneggiatura originale come una “… mastodontica Harley-Davidson”.
Fellini. Le moto del Maestro
Rimini, Le Befane Shopping Centre
8-23 agosto 2020
Ingresso libero
© ADG | CC